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SRAGIONARE E' RAGIONEVOLE
Caro Maurizio Costanzo Show,
non sperare di trovare ragionevolezza in ogni mia lettera. Ciò che elegantemente si fregia del titolo di "ragionevole" è quasi sempre la vile ripetizione di abusati schemi. Non c'è mai coraggio nella esternazione di frasi e concetti fatti, quali gli argomenti ragionevoli quasi sempre sono. L'unico valore della ragionevolezza è la praticità. La ragionevolezza è pratica poiché fondamentalmente condivisa, almeno dagli esseri umani pensanti. Gli esseri umani reagenti, quelli che non pensano ma semplicemente reagiscono all'ambiente come qualsiasi tropismo, non ci interessano e neanche noi interessiamo loro, tanto è vero che certo non stanno leggendo o percependo altrimenti queste parole, poiché essi non leggono altro che qualche titolo qua e là. Ci piace pensare a noi come agli umani pensanti, e se non è vero che ci piace, è tuttavia vero che ciò piace a me, e lo dico senza timori. E tra gli umani pensanti l'argomento della ragionevolezza gode di qualche credito di troppo. Non equivochiamo. A me piace la ragionevolezza. E' utile. Ma la critico perché è noiosa, e soprattutto perché ci inganna. E' noiosa perché ripete alla morte i propri dogmi, sostenuti dalla propria natura ragionevole.
La ragionevolezza imporrebbe, a chi volesse scrivere altro che qualche criptica poesiola di merda, di srotolare sapientemente frasi accuratamente calibrate nei loro significati lampanti e reconditi, frasi misuratamente confrontate mentalmente, all'atto della scrittura o poco prima o poco dopo, con l'immagine che si ha della cultura collettiva del contesto umano di cui si è parte. La ragionevolezza suggerisce di pensare, quando si scrive, ai lettori ai quali ci si rivolge, per risultare ad essi comprensibili, nonché piacevoli o spiacevoli a seconda delle proprie intenzioni, tralasciando come se non fosse importante il concetto della propria totale e cosmica libertà nello scrivere, invece, assolutamente qualsiasi cosa ad uno venisse in mente, con totale disinteresse per chi o per cosa un giorno leggerà tali frasi oppure no.
La ragionevolezza sconsiglia chi scrive di scrivere per sé, a proprio uso e consumo, in totale dispregio di qualsiasi ragionevole considerazione sulla commerciabilità di quanto sta scrivendo. Nel momento in cui si tiene un qualsiasi conto di chi leggerà quanto si scrive, ecco che si è commerciali. Si cerca di smerciare il proprio pensiero ad altri, poco importa se sia in cambio di denaro o di approvazione, due diverse valute del medesimo atteggiamento mercantile.
Tra l'altro, scrivendo per sé nell'assoluto disinteresse verso chi dovesse mai leggere tutto ciò, si danno due possibili sviluppi della situazione per il caso che qualcuno che non sia l'autore si trovi poi a leggere "tutto ciò":
Nel primo caso (il più frequente), lo scritto non gli piace e allora smette oppure peggio per lui.
Nel secondo caso gli piace, e allora continua a leggere, contento di scroccare così alcuni pensieri che l'autore aveva scritto per sé e certamente non per lui.
Come si vede, non c'è alcun pericolo. Chi si vuole mettere a scrivere soltanto per sé deve però evitare di contarsi la balla di volere scrivere soltanto per sé quando segretamente invece spera che qualcuno poi legga quanto lui avrebbe scritto soltanto per sé, e mostri magari anche di apprezzarlo. In questo caso l'autore è un insicuro oppure un vile, e probabilmente andrà in contro a brucianti frustrazioni.
E non vale neanche il fatto di scrivere qualcosa per sé e poi cercare di non farlo leggere a nessuno. Perché mai non bisognerebbe farlo leggere a nessuno? Se si è scritto qualcosa soltanto per sé di sicuro non si tiene in nessun conto il giudizio che altri possano o vogliano esprimere di tale scritto. Se non gli piace sono affari loro. E se gli piace anche. Se si tiene in conto il giudizio altrui, non si è scritto per sé. Si è scritto in modo ragionevole e mercantile, senza per "mercantile" intendere alcunché di negativo.
Il fatto che io mi sia soffermato così a lungo su questo argomento, alludendo tra le righe che non sto scrivendo per altri che non siano me (in effetti io sono già tutte le persone che oggi mi bastano - domani vedremo), sembrerebbe suggerire che io voglia convincere qualcuno o comunque condurlo, con tutti questi argomenti, a comprendere l'essenza di quanto sto intendendo dire. Se avessi voluto dimostrare che veramente non me ne frega niente di chi stia leggendo queste righe, avrei dovuto essere ancora più caotico ed incomprensibile e sconclusionato di quanto io sia comunque ugualmente in parte stato. Avrei dovuto scrivere... be' insomma, fare un sacco di cose che adesso non mi vengono in mente e non ho nessuna voglia di sforzarmi perché effettivamente non me ne frega niente. Il fatto che io non abbia fatto tutto ciò (qualsiasi cosa questo "tutto ciò" sia o possa essere), dimostra quindi che coerentemente io non volessi per nulla dimostrare che non me ne frega niente come effettivamente non me ne frega, e dimostrandolo inevitabilmente distrugge ed annulla contemporaneamente il valore di tale dimostrazione, e distruggendola la ripristina, così ridistruggendola e ripristinandola per una quantità infinita di volte, come in ogni buon paradosso che si rispetti possibilmente avviene oppure no.
E' buffo che per quanto si cerchi di abolire ogni ragionevolezza nel procedere dei propri pensieri, la mente non sta mai al gioco e qualche parvenza di senso larvatamente compiuto si affaccia ugualmente alla realtà. Insomma, per novanta persone che giustamente giudicherebbero quanto da me sinora vergato contorto vaniloquio di neanche eccelsa fattura, sono pronto a scommetterci che una decina di folli o pochi di meno insorgerebbero contro tal giudizio, con argomentazioni che non m'interessano e quindi non ne parlerò qui. Quindi, se fate parte dei novanta, siate a me grati di avervi ora reso il conforto della conferma che siete perfettamente normali, solidamente contenuti nella maggioranza che come c'insegnano ha sempre ragione. Se fate parte dei dieci, siate a me grati per i motivi che perfettamente sapete da soli, senza che ve li debba ripetere io.
Ma noto un preoccupante ritorno di ragionevolezza nel mio sproloquio, e quindi la pianto subito lì prima che sia troppo presto.
Roberto Quaglia
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