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COSCIENZA E MENTE BICAMERALE
Caro Maurizio Costanzo Show,
oggi ti racconto una bella storiella, semplice e chiara, sull'origine di quella "cosa" che più di ogni altra ci fa umani: La coscienza.
Purtroppo, chiedendo a mille persone di definire la parola coscienza, otterremo mille risposte diverse, segno che regna un bel po' di confusione a riguardo. Ciò è abbastanza grave, dato che la coscienza è probabilmente quello che maggiormente ci distingue dagli altri animali. Dichiaro quindi subito la definizione di coscienza da me attualmente adottata (tratta da un ragionamento di Julian Jaynes, ai cui pensieri oggi si ispirano i miei) e che darò per scontata nel prosieguo di questo scritto:
La coscienza è la creazione di uno "spazio" mentale dentro di noi, uno spazio immaginario nel quale noi ordiniamo e localizziamo i ricordi di eventi passati e cerchiamo di figurarci eventi futuri. Per fare ciò dobbiamo "capire" il tempo, e lo facciamo spazializzandolo. (Provate a pensare a come vi immaginate lo scorrere del tempo. Come vi figurate una settimana? Come visualizzate i vostri ultimi dieci anni di vita? Fatelo e scoprirete che voi "vedete" dentro di voi qualsiasi arco di tempo come se fosse uno spazio, nel quale riporre i ricordi e i progetti.) Le ore, i giorni, gli anni e i secoli vengono da noi immaginati come luoghi in uno spazio ordinato nel quale succedono delle cose. La coscienza è un "analogo" della realtà, allo stesso modo in cui una mappa geografica è un analogo di un territorio. Ogni cosa di cui siamo coscienti è un "analogo" di qualcosa che esiste in realtà. Abbiamo dentro di noi un analogo dei nostri familiari, dei nostri amici, ed anche di noi stessi. L'analogo di noi stessi è ciò che chiamiamo "io", e noi lo muoviamo nella mappa della realtà che abbiamo costruito nel nostro spazio mentale, dando corpo ai nostri progetti ad ali ai nostri sogni. In questa "mappa" della realtà noi uniamo tutti gli eventi che ci succedono, che ci vengono comunicati, o che ci immaginiamo, in una storia, in una sorta di narrazione interiore, e questo è ciò che ci permette di avere ricordi coscienti o di fare previsioni a lungo termine. Riassumendo: Spazializzazione del tempo, narratizzazione degli eventi, e l'analogo di noi stessi ("io") che si colloca in buona parte dello "spazio" mentale che chiamiamo Tempo, in un ordine cronologico che chiamiamo I Nostri Ricordi e I Nostri Progetti. Questa è la coscienza.
Ebbene, quando nacque questo gruppo di facoltà che sono la nostra "coscienza"? Sono sempre esistite?
C'è chi sostiene che anche gli animali abbiano una specie di coscienza, ma se per coscienza noi intendiamo quanto ho appena sintetizzato io, ovvero la creazione di un "analogo" della realtà nella nostra mente mediante una spazializzazione del tempo, nonché la creazione di quell'analogo di noi stessi che chiamiamo "io", diventa evidente che parlare di coscienza per gli animali è un'ignorante sciocchezza.
(Adottando una definizione di "coscienza" diversa da quella che io ho usato in questo scritto, tutto ovviamente cambierebbe. Ma poiché, nel migliore dei casi, il discorso si farebbe assai più complesso, e negli altri casi più sbagliato, preferisco in questo contesto mantenere della "coscienza" la definizione che ne ho dato. L'importante è accordarsi - anche di volta in volta - sul significato che si attribuisce alle parole che usiamo.) Ciò che in questo caso avviene è un'azione tipicamente umana, cioè la proiezione delle nostre categorie di pensiero su ciò che non siamo noi. E' un fenomeno che per la maggior parte di noi avviene continuamente ed a tutti i livelli. Conseguenza e sintomo di tale fenomeno è "la mancata comprensione". I maschi umani proiettano le categorie di pensiero maschili sul comportamento delle femmine, ed il risultato è che "non le capiscono". Stessa cosa avviene all'inverso. Un cattolico usa le proprie categorie di pensiero per comprendere un mussulmano, senza ovviamente riuscirci, e viceversa. L'incapacità di prescindere dalle proprie categorie di pensiero ostacola, a vari livelli ed a varie intensità, la reciproca comprensione tra gli esseri umani. Se tali colossali errori vengono compiuti tentando di entrare nella mente di un altro essere umano, cioè di un essere a noi piuttosto simile, possiamo ragionevolmente concludere che proiettare le nostre categorie di pensiero sugli animali produca errori anche maggiori. Così è infatti. Tutti i "sentimenti" che ci piace credere stia provando il nostro gatto quando lo accarezziamo sono esclusivamente ciò che ci piace credere che esso stia provando. Abbiamo una visione antropocentrica della natura e della realtà, ed in nome di essa commettiamo incessantemente i più stolidi errori di comprensione.
Ma torniamo alla coscienza. Gli animali non umani non ce l'hanno. L'essere umano sì. L'uomo discende da altri animali. Quando nacque allora la coscienza? Quando venne creata nella nostra mente quella spazializzazione del tempo che ci permette di fare progetti? Quando apparve in noi quell'analogo di noi stessi che chiamiamo "io", che ci permette di accorgerci dei nostri sentimenti, dei nostri problemi e del nostro destino?
Una modalità di indagare l'organizzazione mentale dei nostri antenati ci è data dai reperti archeologici, ad esempio la letteratura. Tra i più antichi scritti a noi pervenuti ci sono la Bibbia e l'Iliade. Credo che nessuno vorrà obiettare circa il fatto che le esperienze umane testimoniate da queste due fonti sono di un genere totalmente differente da quelle che sarebbe normale attenderci al giorno d'oggi. Nell'Antico Testamento tutti i personaggi dialogano sistematicamente con una voce che dice loro cosa devono fare. Gli ordini di questa voce sono talvolta pii, ma più spesso cruenti e sanguinari. La voce ordina sia decisione sagge che omicidi e massacri. Analoga cosa avviene nell'Iliade, e nella maggior parte degli scritti che ci raggiungono da quell'epoca. Nell'Iliade, ogni azione importante è innescata dalla voce o dall'apparizione di qualche Dio. Perché in tutta la letteratura antica succedevano normalmente queste cose? Perché hanno smesso di succedere nella letteratura successiva? Inoltre, MAI c'è in quelle righe traccia d'introspezione, ovvero di quella pratica che noi sappiamo essere l'essenza stessa della coscienza. Mai c'è in quelle righe traccia di silenziosi dialoghi interiori, e sempre c'è evidenza di quotidiani dialoghi con una voce chiamata Dio o Apollo o Chicchessia. Sembrerebbe che a quell'epoca Dio (o i vari Dei) sostituissero completamente la coscienza.
Dimentichiamoci per un attimo tutto quanto ci hanno insegnato circa l'interpretazione che dobbiamo dare a questo genere di letteratura, di modo da non avere opinioni preconcette. Qual è la prima cosa che viene da pensare ad una moderna persona sana, prendendo in considerazione il comportamento dei personaggi dell'Iliade o dell'Antico Testamento? O quelle storie sono completamente inventate, oppure a quel tempo erano tutti matti.
Tutte le spiegazioni che di quelle letterature vengono attualmente date sono poco logiche quando non addirittura assurde.
Non ha senso pensare che quelle storie fossero inventate. La storia insegna che per l'essere umano il bisogno di documentare ciò che è avvenuto è sempre stato assai più importante che favoleggiare circa avvenimenti immaginari.
E' stupido credere che quelle storie siano sì autentiche antiche cronache, ma cripticamente codificate secondo contorte ed impenetrabili simbologie. Per quale motivo l'avrebbero mai fatto? A quel tempo la gente era più semplice di adesso, nessuno aveva voglia o motivo di impregnare le sole storie che venissero scritte e raccontate di contorti simboli che ne trasfigurassero la veridicità.
L'interpretazione più semplice, intelligente ed ovvia di tutti quegli antichi scritti è che non c'è NULLA da interpretare. Tutto ciò che viene raccontato è accaduto davvero.
Dio allora davvero parlava agli uomini tutti i giorni? E non solo lui, ma anche Apollo, Osiride, Brahma, Tao, Zeus, Odino e il Dio Sole? Quasi. In realtà, gli uomini udivano le voci degli Dei, che guidavano le loro azioni, ma esse non provenivano da molto distante, tipo l'aldilà e/o il regno dei cieli. Esse provenivano dall'emisfero destro del loro cervello.
Come molti sanno, il cervello è diviso in due parti, l'emisfero destro e quello sinistro. Molte delle nostre funzioni sono localizzate in entrambi gli emisferi. Fa un'eccezione la funzione del linguaggio, la quale è interamente localizzata nell'emisfero sinistro, in parte nella area di Broca, ma soprattutto nell'area di Wernicke. Perché il linguaggio, così importante per noi, risiede in uno soltanto dei nostri emisferi? E quale funzione si trova, nell'emisfero destro, all'esatta corrispondenza dell'area di Wernicke?
La risposta a quest'ultima domanda è: "nessuna". C'è, nell'area di Wernicke dell'emisfero destro, una porzione di cervello che pare proprio non servire a nulla, tanto è vero che quando essa viene danneggiata od asportata, il paziente non se ne accorge neppure, poiché nessuna delle sue funzioni risulta menomata. Sono stati però eseguiti esperimenti su molti pazienti, stimolando elettricamente tale inutilizzata area del cervello per vedere cosa succedeva. I pazienti riferivano che pareva loro di udire delle voci. Fino al 2000 a.C. l'area di Wernicke dell'emisfero destro degli esseri umani funzionava a pieno regime, comunicando a viva voce all'emisfero sinistro le sue decisioni circa ogni problema che esulasse dalla routine quotidiana.
Era questa l'essenza della Mente Bicamerale, la forma di organizzazione mentale che regnò nei crani degli esseri umani per decine di migliaia di anni fino al secondo millennio a.C., soppiantato (ma solo in parte) dalla forma di organizzazione mentale che oggi chiamiamo "coscienza soggettiva".
I neurologi conoscono abbastanza bene le differenze funzionali tra i nostri due emisferi cerebrali. Quello sinistro è specializzato all'azione. Esso controlla la parte destra del corpo, e infatti siamo in grado di usare la mano destra meglio della sinistra (i mancini hanno alcune funzioni degli emisferi invertite, ma la sostanza non cambia). Quello destro è anche chiamato "emisfero creativo", ed è specializzato nell'attività creativa, ovvero la soluzione di problemi e la capacità di sintesi. Tutto ciò che noi "sentiamo" è più o meno un'attività dell'emisfero destro. Ciò che pensiamo concettualmente è invece indicativamente un'attività del sinistro. Nello spazio mentale della nostra coscienza noi integriamo queste differenti funzioni, pur non sfuggendo alle contraddizioni che esse causano.
Al tempo della Bibbia e dell'Iliade, non c'era lo spazio mentale, ma c'era già il linguaggio, che pure ancora mancava di tutti quei vocaboli che sono connessi alla coscienza di sé. L'uomo non si accorgeva di esistere, come anche oggi non ci accorgiamo di guidare l'auto se siamo profondamente persi nei nostri pensieri. Si agiva perennemente in modo automatico, come ad esempio noi oggi ancora si guida l'auto in modo perfettamente automatico.
Per imparare a compiere azioni semplici non c'è bisogno della coscienza, come l'ottima capacità d'apprendimento di un'animale che venga ammaestrato perfettamente dimostra. Tuttavia, ogni volta che l'Uomo Antico si trovava in una situazione conflittuale, dove gli inconsapevoli automatismi del suo emisfero sinistro non erano più sufficienti a risolvere un problema, la situazione di stress induceva l'emisfero destro (responsabile, come anche oggi, della capacità di sintesi) a comunicare a viva voce al sinistro cosa esso dovesse fare. Questa era l'essenza semplificata del funzionamento della mente bicamerale. La voce udita apparteneva alla figura autoritaria associata alla nozione comunicata: un familiare, il capotribù, il re, il dio.
Anche oggi noi non siamo coscienti di tutte le nozioni che sono nascoste dentro di noi. Spesso abbiamo un concetto sulla punta della lingua, ma non ci viene in mente. Ma ci basta, ad esempio, dare un'occhiata al libro dove abbiamo appreso tale concetto perché esso riappaia magicamente nella sua interezza dentro di noi. Possiamo non ricordare per nulla una poesia che pure sappiamo di sapere a memoria: ci basta però darle un'occhiata dentro al libro dove sappiamo che essa si trovi perché ci riappaia in mente nella sua totalità. Allo stesso modo, un appunto scarabocchiato in fretta sarà sufficiente a farci ricordare idee e progetti anche molto complessi.
Pure nei tempi antichi, quando la mente era bicamerale, c'era il problema di ricordarsi di nozioni sopite. Ciò che richiamava alla memoria una conoscenza nascosta non era un libro o un appunto, ma l'effigie del personaggio autoritario associato alla nozione. Nacquero così gli idoli. Quando ci si trovava in una situazione conflittuale, e non si ricordava come ci si dovesse comportare, si andava nella piazza del villaggio (o città) a guardare la statua dell'idolo di turno. Ed essa faceva l'effetto dei nostri libri o appunti: richiamava la nozione sopita alla memoria, e ciò avveniva udendo la voce dell'idolo. Per questo nacque anche la tradizione degli idoli portatili: collanine, statuette, icone. Più la società era complessa, maggiore era la quantità degli idoli, poiché ad ognuno di essi era associata una categoria di nozioni (proprio come nei libri). In qualsiasi situazione di stress nella quale non si riusciva a prendere una decisione automatica (automatica come quelle che noi prendiamo mentre irriflessivamente guidiamo un auto, ad esempio cambiare marcia) si dava un'occhiata all'idolo pertinente e si quindi si udiva la sua voce comunicare cosa si dovesse fare.
La vita di ognuno era un continuo udire voci di figure autoritarie ordinare cosa andasse fatto. Talvolta l'allucinazione auditiva era accompagnata da visioni.
Ma facciamo un salto alle origini di questa mente bicamerale. Quando nacque? E come? Qui ci troviamo davvero agli albori dell'essere umano. I componenti di quelle piccole tribù che erano l'umanità avevano nel cranio il più efficiente computer del regno animale, ma i programmi facevano davvero schifo. Ottimo hardware, quasi nessun software. Erano da poco usciti dalle foreste e stavano iniziando a cacciare in branco, facendo concorrenza a tutti i carnivori, i quali potevano contare su decine di milioni di anni di allenamento alle spalle. Ultimo arrivato, tradizioni da vegetariano ed insettivoro come tutti i primati, neo-carnivoro e cacciatore pivello, l'essere umano compensò con un accrescimento del cervello la mancanza degli istinti, degli artigli e delle zanne che facevano di lui il peggiore dei cacciatori. Con il cervello imparò ad esempio a costruire armi. Occorrevano ore ed ore per affilare una pietra. Nella rudimentale organizzazione mentale di quei primi umani, le funzioni erano ben distinte. L'emisfero destro sintetizzava la necessità di affilare la pietra. L'emisfero cerebrale sinistro metteva in atto l'affilamento. Lasciato a se stesso, l'emisfero sinistro si sarebbe distratto dalla sua attività alla prima occasione. Possiamo dare un ordine ad un cane ed esso obbedisce, ma se non reiteriamo continuamente l'ordine, dopo un po' esso si distrae e smette di obbedire. Così era per l'emisfero sinistro, lasciato a se stesso. Ma l'emisfero destro, l'emisfero "creativo", ordinava continuamente al sinistro ciò che esso dovesse continuare a fare, e lo faceva inviandogli l'ordine sonoro associato al gesto di affilare la pietra. Dicendo per tutto il giorno ad un cane ben ammaestrato "cuccia!", esso continuerà a mettersi a cuccia. Dicendo per tutto il giorno all'emisfero sinistro "affila!", quello destro lo costringeva a continuare per tutto il giorno ad affilare la pietra, senza distrarsi. In realtà, nei primi tempi, non gli diceva proprio "affila", bensì quel tale grugnito che aveva assunto quel significato. E da dove proveniva quel particolare grugnito? Chi l'aveva insegnato all'emisfero destro? Beh, qui siamo davvero all'inizio della cultura. Il massimo detentore di queste piccole conoscenze culturali era per ovvie cose il capotribù, che le aveva apprese dal capotribù precedente o le aveva parzialmente inventate da sé. Era il capotribù che insegnava agli altri come si affilasse una pietra, mostrando loro come si facesse ed associando l'esempio all'emissione di un suono (inizialmente un certo grugnito). C'è poco di umano in tutto ciò. Anche tra le scimmie avvengono cose del genere. Tale suono, tale grugnito diventava quindi l'innesco dell'azione di affilare una pietra. Ne diventava quindi l'ordine. Ma l'Uomo, pure nell'abissale ignoranza in cui annaspava a quel tempo, era molto più intelligente delle scimmie, e rispetto ad esse sviluppò alcune capacità in più: l'emisfero cerebrale destro prese a governare le azioni compiute da quello sinistro imparando a dagli ordini verbali, allo stesso modo in cui li si da ad un'altra persona. Quindi, il capotribù ti insegna un'azione associandola ad un suono che ne diviene l'ordine, e quando il tuo emisfero destro ritiene che tu debba compiere tale azione la comunica a voce al sinistro, e la voce che tu odi è tale e quale quella del capotribù, come se si trattasse di una registrazione digitale.
Un giorno il capotribù muore, ovvero smette definitivamente di muoversi e dopo un po' inizia a puzzare. Tutti gli animali istintivamente allontanano da sé le carcasse dei loro compagni morti, e così aveva fatto l'Uomo prima che in esso sorgesse la mente bicamerale. Adesso, il capotribù è morto ma quando c'è da fare qualcosa tutti odono ancora la sua voce. In realtà, non si tratta della "sua" voce, ma della registrazione "digitale" della sua voce, prodotta dall'emisfero cerebrale destro. Le nozioni che egli ha insegnato non sono infatti morte con lui, e nella mente di ognuno continuano ad innescare l'azione allucinando la sua voce. Nasce quindi una contraddizione percettiva. Il capotribù è per certi versi morto, poiché non si muove, ma per altri è innegabilmente vivo, poiché parla e dice cose utili. Non muovendosi, non provvede più ai propri bisogni, e diventa quindi ovvio che ci si prenda cura di lui. Poiché al di là di certe apparenze egli è vivo, avrà bisogno di una casa: ecco la nascita della tomba e del tempio. Poiché è vivo, avrà bisogno di cibo: i reperti archeologici testimoniano che per molti millenni, in tutto il mondo, i morti venivano sepolti insieme a cibo. Poiché le nozioni sono associate alla sua voce e la sua voce è associata alla sua faccia e ora la sua faccia non c'è più, bisogna costruire un surrogato della sua faccia che permetta di vederlo per ricordare (udendoli) i suoi insegnamenti, ed ecco l'invenzione delle statue e dell'idolatria. Ecco, in estrema sintesi, l'invenzione della vita dopo la morte.
Alcune società bicamerali, come gli Egizi e gli Atzechi, sono cresciute fino a livelli di complessità sorprendenti.
Di quando in quanto queste società crollavano, con una velocità ed un'assenza di cause esterne che gli studiosi, ignari di questa teoria, non sono mai riusciti a spiegarsi. Accadeva, detto in modo semplice, che l'organizzazione gerarchica di queste voci (gli Dei) collassava, e con essa l'organizzazione sociale. Anziché veicolare informazione utile, le voci degli Dei si riducevano a impartire ordini incoerenti che conducevano rapidamente al disastro.
Fu durante uno di questi crolli, in Mesopotamia, verso la fine del secondo millennio a.C., che fece la sua comparsa per la prima volta sulla terra la coscienza soggettiva, cioè la creazione di uno spazio mentale e la capacità di narratizzare gli eventi spazializzando il tempo. Questa nuova forma mentale rapidamente conquistò il mondo, e la storia di questa transazione è mirabilmente documentata dal Nuovo Testamento. Dio non parla più agli uomini, tranne che ai profeti ed i messia, gli ultimi uomini bicamerali. Divenuta cosciente, l'umanità è però nostalgica dell'epoca bicamerale. La coscienza, sita nell'emisfero sinistro, si è assunta il carico della responsabilità delle decisioni, prima delegata agli Dei dell'emisfero destro. In ogni modo si cerca quindi di rievocare le voci scomparse, per sfuggire la responsabilità. La nascita delle religioni è il segno più lampante di questa nostalgia. Le giaculatorie ed i mantra autoipnotici hanno infatti l'effetto di indebolire l'ancora fragile coscienza inducendo uno stato di trance, più simile al vuoto mentale della mente bicamerale.
Siamo oggi solo agli albori della coscienza. Essa nacque solo 4000 anni fa, e soltanto negli ultimi decenni nella coscienza ha iniziato ad affiorare la coscienza di come sia nata la coscienza. Ma siamo ancora immersi in una baraonda di vestigia dell'epoca bicamerale.
Le voci bicamerali erano innescate dallo stress, cioè dalla tensione nervosa che nasce quando di fronte ad un problema si stenta a trovarne la soluzione. Ancora oggi, un forte stress ci provoca allucinazioni uditive (es: stress da digiuno, da mancanza di sonno). In certi casi riaffiorano anche le allucinazioni visive, che hanno la forma dettata dall'imperativo cognitivo collettivo del momento. Così, ad un cattolico può apparire la Madonna, e non certo Buddha. Ad un seguace degli UFO possono invece apparire extraterrestri. Le allucinazioni, auditive o visive, compaiono in situazioni di stress. La febbre è una forte causa di stress. Chi di noi, in preda a forte febbre, non ha mai avuto allucinazioni? Chi non ha mai avuto allucinazioni da bambino, quando la coscienza non si è ancora saldamente affermata, magari proprio durante una febbre? E perché mai dovrebbe oggi esistere in noi la capacità di avere allucinazioni, se essa non avesse costituito in passato una consueta modalità di funzionamento della nostra mente?
Il consumo di droghe psicotrope, dall'alcol alla marijuana all'eroina, è un'altro segno della inconsapevole nostalgia degli umani verso l'epoca bicamerale. Le droghe sopiscono la coscienza, e talune inducono allucinazioni. I riti tribali del ballo ritmico, così tipici nelle tribù africane e nelle discoteche dei paesi civili, sono un'altro segno di questa nostalgia di un'epoca senza coscienza. Sottoposta a ritmico martellamento sonoro, qualsiasi mente umana perde almeno parte della propria coscienza. Aggiungendo droghe, la trance è ancora maggiore.
Come è logico che sia, talvolta alcuni individui perdono spontaneamente questa recente conquista della mente umana, la coscienza, e ripiombano nella mente bicamerale. Odono voci, perdono il senso del tempo, vivono tra allucinazioni. Chiamiamo costoro schizofrenici, li crediamo malati, sono soltanto regrediti. La mente bicamerale è ancora tra noi.
Vestigia della mente bicamerale, nell'essere umano, è quasi tutto: la musica, la poesia, la propensione ai miti e alla delega della responsabilità, la fede, la sincerità, la fedeltà, i sentimenti. La coscienza analitica s'è appena accesa, in noi, da un pugno di secoli, e non abbiamo ancora imparato ad usarla per finalità sagge. Più spesso, la coscienza è infatti usata come arma impropria per pianificare azioni triviali. Per questo, il Bene è dai più maggiormente associato a funzioni umane antiche, vestigia della mente bicamerali, anziché agli immaturi frutti della nostra nuova potentissima funzione chiamata coscienza.
V'è a questo proposito da parlare e ragionare per libri ed eoni, ma per stavolta mi fermo qui, assai prima che a metà discorso, lieto d'aver posto germogli di riflessioni nelle menti umane in cui questo scritto s'è riversato, augurandomi che essi trovino terreno fertile, di modo da non tramutarsi, come invece quasi sempre accade, in parole sprecate.
Caro Maurizio Costanzo Show, ritengo veramente vergognoso che mi debba prendere pubblicamente la briga di fare luce su tali verità io, che dopotutto non sono neanche laureato e non mi paga nessuno, quando nessuno dei titolatissimi pagatissimi sedicenti psicologi e sociologi ufficiali e famosi che negli anni si sono alternati sul tuo palcoscenico non si sono mai rivelati in grado anche solo di accennare a tale ordine di brillanti argomenti. Quasi quasi li sfido a duello per rivelare al mondo la loro farsesca impostura.
Roberto Quaglia
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