Il cosiddetto Roberto Quaglia, a me noto anche come me stesso (Caro Maurizio Costanzo Show... lettera n.12)
lettera n.12

La sola persona al mondo che vorrei poter profondamente conoscere è me stesso, ma per il momento non ne vedo la possibilità.

OSCAR WILDE

Di Roberto Quaglia si può dire qualsiasi cosa senza modificare minimamente il fatto che qualsiasi cosa si dica non modifica quel che dice Roberto Quaglia.

GIGI PICETTI






















IL COSIDDETTO ROBERTO QUAGLIA, A ME NOTO ANCHE COME ME STESSO

Caro Maurizio Costanzo Show,

parliamo ora di me, dell'autore di queste righe, di quelle che le hanno precedute e di quelle che seguiranno.
Confesso di conoscermi. La lunga convivenza con me stesso mi ha aiutato non poco. La maggior parte delle volte che mi guardo allo specchio mi riconosco senza troppi problemi.
Sono registrato all'anagrafe con il nome di Roberto Quaglia, e mi risulta che è così che sono sempre stato chiamato, fin dalla mia nascita (maggio 1962). Il mio nome spiega però assai poco di me, considerando anche che non lo detengo in esclusiva. Benché non sia un fatto frequente, coesistono in Italia svariati "Roberto Quaglia", individui dall'identica etichetta pur nettamente distinti, molecolarmente, psicosomaticamente, esistenzialmente ed economicamente, uno dall'altro. A Genova siamo, per quanto mi sia noto, in due a venir chiamati così, e non ci siamo mai incontrati, sebbene io mi sia in varie occasioni imbattuto in individui che conoscevano personalmente il mio omonimo. Ma ciò è nullamente interessante, anche per me.
Quel che l'autore di queste righe ritiene di essere è argomento assai più interessante, se mi consentite questo sbocco di vanagloriosa esibizione d'introspezione.
Quel che l'autore di queste righe ritiene di essere è ovviamente una faccenda alquanto complessa, in difetto della qual cosa non potrebbe tal cosa dirsi una questione interessante.
Mi limiterò dunque a sfiorare soltanto il tema, materia assai più adatta all'autobiografia o all'assidua frequentazione della mia persona, che ad una lettera al Maurizio Costanzo Show, anche se questa viene condivisa su Internet dall'umanità.
In una lettera al Maurizio Costanzo Show, il grande totem della Società Televisiva Italiana, è brutto espandersi in polpettoni autoelogiativi. Bello è invece abbagliare con intermittenti lampi di sintesi.
Isaac Asimov, il grande autore di fantascienza, scrisse una serie di raccontini gialli chiamati "Il Club dei Vedovi Neri". I membri di tal club interrogavano ritualmente i propri graditi ospiti esordendo con la provocante domanda: «Lei come giustifica la sua esistenza?» Uno dei molti significati impliciti in tal domanda era pressappoco: «Quale funzione utile riveste nella società umana?»
In una vita si possono incarnare molte o poche funzioni, spesso anche in contraddizione una con l'altra, certo è che mai si è senza ruolo. Anche l'essere senza ruolo è un ruolo. Anche il suicida, perfetto esemplare di chi senta di aver perduto ogni proprio ruolo e funzione, in realtà si cala ossessivamente nel ben definito ruolo del suicida, indispensabile per riuscire ad uccidersi.
Giustifico io, di fronte a me stesso, la mia esistenza? La risposta è un mio fatto privato, ma la si può intuire. Chi abbia interamente giustificato di fronte a se stesso Il Proprio Esistere, perde interesse a cimentarsi nei giochi dell'Essere, e muore, o lietamente attende di farlo. Chi sappia di non avere giustificato per nulla la propria esistenza di fronte a se stesso, o inaspettatamente reagisce vigorosamente o più facilmente soccombe a tale consapevolezza, ma la sua morte o attesa di morte è assai meno lieta.
Ho lasciato dei segni, sto lasciando dei segni durante il mio percorso terreno?
Be', qualche segno macroscopico c'è, e per qualche tempo rimarrà. Ho scritto svariati libri, vergini ed inediti in Italia, ma in paesi lontani sbocciati alla vita, editissimi e, soprattutto, vendutissimi. Ho per anni gestito la Panteca di Genova, locale originale d'incontro serale, fucina di artisti e fini pensatori, che tali forse non sarebbero diventati senza quel loro nido o covo che con cospicua fatica ho mantenuto in vita. Alcuni di essi sono inevitabilmente tracimati in alcuni Maurizi Costanzi Show. Altri segni di vita non vi riguardano, o forse invece sì, comunque senza parlarvene vi garantisco che li ho lasciati e tuttora li lascio.
Ho conosciuto e tuttora conosco personaggi di grande rilievo mentale. Trascurando di menzionare gli italiani, per non mortificare i sedicenti saccenti assenti dai miei elenchi, mi pregio di esibire la mia recente fitta e gustosa corrispondenza con Robert Sheckley, uno tra i migliori pensatori che la letteratura americana abbia mai prodotto, le inebrianti conversazioni con Jack Cohen, pirotecnico scienziato e scrittore inglese, le ricorrenti maratone speculative con Florin Munteanu, eclettico scienziato rumeno e grande amico personale, i fugaci ma ripetuti incontri con Norman Spinrad, John Brunner, Harry Harrison, Frederik Pohl, Gianluca Vialli... tutti questi nomi non vi dicono nulla, tranne l'ultimo? Ebbene, esso rappresenta l'unica bugia dell'elenco, e forse l'unico nome noto a chi legge. Non è colpa mia. Cosa vi aspettavate da me? Che in questo stringato simulacro di autobiografia menzionassi solo ciò che ai miei occhi poco importa ma che le mode imperanti e le tradizioni autobiografiche imporrebbero? Niente da fare! Mi tengo accuratamente alla larga dallo spiattellarvi quante lingue io sappia parlare, quali titoli di studio dovrei vantarmi di possedere o vergognarmi di non avere, quante e quali relazioni abbia consumato con l'altro sesso (o lo stesso? o gli altri ancora?), quali siano i particolari psicoanatomici del mio vivere quotidiano, di quello settimanale, mensile e annuale, quale sia il colore della mia pelle. E se io fossi negro? Voi cosa ne sapete? Non offendetevi se propriamente dico "negro" e non "extracomunitario". Chi usa la parola "extracomunitario" è generalmente un ingenuo o un coglione o entrambi, e non mi voglio sottrarre dal dirlo. Mia nonna è infatti un'extracomunitaria, o almeno, lo è stata fino a qualche giorno fa. Davvero! Sorpresi? Ma non è negra. E' austriaca. Fino a pochi giorni fa l'Austria non faceva parte della comunità europea. Quindi lei è sempre stata un'extracomunitaria. Come i miei amici americani, ed i nostri nemici svizzeri (amici? nemici?). Chi usa la parola "extracomunitario" per descrivere un negro è generalmente un coglione della peggior specie, cioè un coglione ipocrita. Per il negro non cambia nulla, perché dopo un po' anche la parola "extracomunitario" diventa un insulto. L'insulto non è mai in una parola, ma nella mente volgare di chi la usa. Solo che così non ci si capisce più niente e a finire insultata finisce per ritrovarcisi anche mia nonna, perché dato che è extracomunitaria deve essere negra per forza e vendere ciondoli sulle spiagge e che invece se ne torni a casa sua che piuttosto noi che non siamo razzisti la aiutiamo là in quel suo paese.
Ecco, mi sono distratto un attimo, e già questa autobiografia pare decisamente non esser più tale, bensì il solito simulato delirio che spontaneamente esalo tutte le volte che sono me stesso pur non essendolo affatto. Coerentemente allora la smetto, ricordandovi in chiusura i dati essenziali. Mi chiamano tutti Roberto Quaglia, e ho così finito per credere di avere il mio nome. Credo con intensità variabile di essere me stesso, anche quando credo di essere qualcun'altro. Credo comunque sempre di credere. Penso di pensare, e talvolta penso di pensare di pensare. Cerco di essere cortese con me stesso, anche se talvolta mi tolgo il saluto. Quando mi incontro per strada mi riconosco quasi sempre ed il più delle volte mi fermo a scambiare due chiacchiere con me stesso, sino a quando i miei discorsi mi vengono a noia e allora mi mollo promettendomi però di telefonarmi, il che però non faccio mai, anche perché so che troverei la linea occupata. Le barzellette che mi racconto non mi fanno più ridere perché le so già tutte. Quando non sono d'accordo con i miei discorsi mi mando a quel paese e poi mi parlo male di me, ma non mi do retta. Mi calunnio, ma non mi credo, né mi querelo. Alla fine torno a frequentarmi con frequente frequenza. Sono vivo, ma non l'ho fatto apposta, anche se un po' me ne approfitto. All'atto di scrivere tutto ciò l'anagrafe mi considera trentaduenne, ma so che non durerà per sempre. Talvolta mi diverto, altre volte no. Ma cerco comunque sempre di non annoiarmi, il che suggerisco di fare a tutti, poiché annoiarsi non è cosa poi tanto brutta, ma è noioso.

Roberto Quaglia


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Ma chi è Roberto Quaglia?





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© 1994-2000 Roberto Quaglia.



















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