La Mania dei Perché (Caro Maurizio Costanzo Show... lettera n.4)
lettera n.4

La cosa importante è non smettere mai di porsi domande. La curiosità ha la sua buona ragione di esistere. Non si può che restare sgomenti, quando si contemplano i misteri dell'eternità, della vita, della meravigliosa struttura della realtà. E' sufficiente solo cercare di capire un po' di questo mistero ogni giorno. Mai perdere il gusto di una sacra curiosità.

ALBERT EINSTEIN






















LA MANIA DEI PERCHE'

Caro Maurizio Costanzo Show,

Come i bambini ho la mania dei perché, e me ne vanto. La mania dei perché è lo strumento di cui noi esseri umani disponiamo per imparare, come lo stomaco è lo strumento di cui disponiamo per digerire il cibo. Mentre lo stomaco funziona per tutta la vita, con le saltuarie eccezioni delle indigestioni, la mania dei perché avvizzisce negli umani adulti lasciando di sé solo qualche vaga traccia. Cessata l'età della crescita, ogni giorno è buono per celebrare il funerale della mania dei perché. L'atrofia non è mai davvero completa. Qualche piccolo perché sopravvive in tutti, ma negli umani adulti sono altre le funzioni che governano l'arbitrio: alla ribalta della mente, destituiti i perché si insediano le certezze acquisite e i dogmi personali. In età adulta ci si chiede il meno possibile e si proteggono a spada tratta le proprie convinzioni. Ogni propria conoscenza diviene un dogma e si combatte o e si teme chiunque ne metta in discussione i fondamenti.
Dal giorno in cui la mania dei perché ci abbandona cessiamo di crescere, ed invecchiamo soltanto. E' per questo che dunque gioisco ad ogni perché che in me riesco a generare. Nel rifiuto del dubbio si crogiolano coloro che hanno rinunciato a crescere e vogliono solo invecchiare. Usualmente s'immola la propria mania dei perché sull'altare della praticità quotidiana. Si agisce male quando si è rosi dai dubbi. Le certezze saranno pur false, ma tornano comodissime quando si interagisce sul mondo. E' molto affascinante interrogarsi sulla vera natura di un grosso würstel, quando lo si intenda addentare, e ci sarebbe moltissimo da chiedersi: "E' questo davvero un würstel? Perché io sono convinto che questo sia un würstel? Sarebbe questo un würstel se io non lo considerassi tale? Chi mi assicura che i buddisti non abbiano ragione ed il würstel non sia tratto da un porco che era la reincarnazione di Hitler? Come posso mangiare questo würstel se magari è il corpo di Hitler, quando ancora ieri ho fatto la comunione, cioè ho mangiato del pane che forse (ma come faccio ad esserne sicuro?) era il corpo di Cristo? E anche se questo würstel non fosse il corpo di Hitler reincarnato, è pur sempre tratto dal corpo di un porco... è giusto che io lo associ, nel mio stomaco e - ancor peggio - nella mia mente, al corpo di Cristo? Come posso shakerare nel mio stomaco l'allucinante cocktail di Cristo e di un porco che forse era anche Hitler? E' inoltre giusto che io dimentichi che sto per addentare un cadavere? Ma sono io sicuro di avere effettivamente fame? E se anche avessi davvero fame, per quale motivo dovrei mangiare? Non sarebbe più dignitoso rifiutare la mia animalità e lasciarmi morire di fame? Prima o poi sarei defunto comunque... e forse con minor dignità... Se io fossi il würstel e il würstel fosse me, mi piacerebbe essere mangiato da me? E come posso ora mangiare questo würstel che si è raffreddato mente mi facevo tutte queste gratuite domande e se poi (per vendetta?) mi rimanesse sullo stomaco?" Dovendo mangiare un würstel, è meglio mangiarlo e basta, senza stare a farsi troppe domande. Similmente, spesso, dovendo vivere, è meglio vivere e basta, senza stare a farsi troppe domande. Facendo così, però, il rischio è di mangiarsi il würstel soprappensiero, senza quasi accorgersene e, parallelamente, vivere la propria vita soprappensiero, senza quasi accorgersene, il che, poiché si vive una sola volta, sarebbe un po' un peccato, poiché diverrebbe allora lecito mutare - come qualcuno in effetti ha fatto - il famoso detto in "NON SI VIVE NEANCHE UNA VOLTA.", rendendo inevitabile anche l'autogenerazione di un detto collaterale: "NON SI MANGIA NEANCHE UN WÜRSTEL."
Mentre da un lato è assai pratico trascorrere una serena vita adulta priva di impetuose curiosità e di roventi dubbi, (e chiunque sta la sua vita così vivendo certamente approverà questo argomento), è altrettanto vero che l'emblema della vita è lo sfrenato entusiasmo giovanile, e non la compassata inerzia senile. Ogni bambino è un genio, se paragonato ad un adulto. Ed un genio rimane finché la mania dei perché non inizia ad abbandonarlo. Non è un abbandono fulmineo. E' invece una morte lenta. Qualcuno conserva vasti lembi della curiosità infantile per tutta la vita e diventa uno scienziato, od un grande sapiente. Altri rinunciano a 18 anni ad ogni ulteriore sapere e da quel momento soltanto invecchiano. Li ritrovi a 40 anni e poi a 50 e a 60 con le stesse idee dei vent'anni, nel frattempo vetuste, fuori dei tempi e ridicole, delle quali si dicono orgogliosi, poiché su di esse ed esse soltanto è costruita la semplice immagine che costoro hanno di sé.
Ma l'incredibile sviluppo culturale dell'umanità, che in poche migliaia di generazioni è passata dall'Uomo-Scimmia-Cacciatore all'Astronauta, non è avvenuto per azione degli inerti prosecutori delle procedure apprese nell'adolescenza, cioè gli invecchiati anzitempo, cioè la maggioranza orgogliosa delle proprie certezze. L'incredibile sviluppo culturale della nostra specie è il frutto del pensare e dell'agire nei secoli di quella piccola percentuale di adulti con la mania dei perché, guardati sempre con sospetto da tutti gli altri per la diversità delle loro idee e per l'ostinazione delle loro curiosità.
Una delle armi vincenti della specie umana rispetto agli altri mammiferi, nel corso dell'evoluzione, è stata la strategia di prolungare quelle funzioni dell'apprendimento che chiamiamo "gioco" e "curiosità infantile" e che sono proprie di tutti i mammiferi. Guardate i gattini mentre giocano, tendendosi agguati a vicenda: stanno imparando a cacciare. O quando, curiosi, ficcano il musetto dappertutto: stanno esplorando il territorio. Ma l'infanzia felina dura pochi mesi. Quella umana quasi vent'anni. Quando l'infanzia finisce, gioco e curiosità cessano, lasciando di sé solo vaghe tracce, e quel che gli individui sono, restano, senza imparare più nulla di saliente.
Tranne gli adulti un po' ancora bambini, animati dalla mania dei perché, disponibili con entusiasmo ai nuovi giochi, che come i bambini non si prendono troppo sul serio, e come i bambini sono dagli altri adulti incompresi. E quando un gioco da loro inventato reca vantaggio all'umanità, dopo e soltanto dopo il loro nome diventa un'etichetta positiva.
La "storia" è determinata da pochi, che oltre alla fatica di determinare la storia hanno dovuto sobbarcarsi l'onere di trascinarsi appresso la zavorra degli immobili.

Roberto Quaglia


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© 1994-2000 Roberto Quaglia.



















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